La Foca monaca del Mediterraneo

Nell’antica Grecia, le foche monache erano sotto la protezione di Poseidone e di Apollo per il fatto che mostrassero un così grande amore per il mare ed il sole. Una delle prime monete, coniata intorno al 500 a.C., rappresenta la testa di una foca monaca e queste creature furono immortalate anche dai versi di Omero, Plutarco e Aristotele.
Per i pescatori e i marinai, la vista di questi animali, che nuotano tra le onde o distese ad oziare sulle spiagge, è stata sempre considerata come un auspicio di buona fortuna.
Storicamente, gli esseri umani hanno cacciato le foche per necessità (pelliccia, olio, carne), ma non in un così grande numero da mettere in pericolo l’esistenza della specie. A causa della loro natura fiduciosa questi animali erano facile preda dei cacciatori. Le pelli venivano usate per costruire le tende e proteggere l’uomo dagli elementi più ostili di natura, come fulmini e saette. Le pelli inoltre sono state trasformate in scarpe e vestiti ed il grasso di foca era usato per le lampade ad olio e per fare le candele.
Poiché era noto, fin dai tempi remoti, che l’animale riusciva a dormire profondamente, si pensava che la sua pinna destra, posta sotto il cuscino, potesse addirittura curare l’insonnia.
Sembra che la specie sia stata razziata seriamente durante l’Era Romana. A seguito della caduta dell’impero, una diminuzione della richiesta permise alle foche un recupero provvisorio, ma non al livello di prima. Lo sfruttamento commerciale aumentò ancora, in determinate zone durante Medio Evo, estinguendo tangibilmente le più grandi colonie sopravvissute.
Le superstiti non si raccoglievano più sulle spiagge aperte e sulle rocce, ma cercavano un rifugio lungo le scogliere più inaccessibili ed in caverne (spesso con entrate subacquee). La grande distruzione portata delle due Guerre Mondiali, la Rivoluzione Industriale, il boom del turismo e dell’inizio dell’industria della pesca contribuirono ad un rovinoso declino della foca mediterranea.
La foca monaca è l’unico pinnipede presente nel Mediterraneo. Ha un corpo robusto, (coperto da un pelo corto e fitto) lungo circa 240-280 cm nel maschio adulto (la femmina è leggermente più piccola); il peso varia dai 350 ai 400 kg. I piccoli nascono lunghi circa un metro e pesano poco più di 20 kg. Il capo è arrotondato e ornato da lunghi baffi (vibrisse). Le pinne pettorali sono allargate e ogni falange porta un unghia alla sua estremità. Le pinne posteriori hanno il primo e il quinto dito più lungo e le dita intermedie più corte. Agile ed armoniosa in acqua, ha una pessima mobilità a terra dove utilizza per muoversi solo il ventre. La sua coda è molto piccola e poco visibile. È probabile che il suo nome derivi dal colore del mantello, simile al colore del saio dei monaci.
È un animale stanziale e costiero, che partorisce all’età di cinque sei anni e con uno scarso tasso produttivo, cioè ogni due anni e dopo una gestazione di 11 mesi, dà alla luce un unico piccolo, all’asciutto in una grotta. Il piccolo viene allattato circa 16 settimane e solo dopo lo svezzamento entra per la prima volta in acqua.
Altissimo è il tasso di mortalità infantile dovuto alla stagione in cui avvengono le nascite (agosto novembre), quando spesso le grotte dove nascono i cuccioli si allagano e le onde trascinano via il cucciolo che, nei i primi quattro mesi di vita, non sa ancora nuotare.
La specie fu descritta per la prima volta nel 1779, con il nome di Phoca monacus. Successivamente John Flemming creò il genere Monachus del quale vennero a fare parte tre specie simili: Monachus monachus, foca monaca del Mediterraneo; Monachus tropicalis, foca monaca dei Caraibi (oggi estinta); Monachus schauinslandi, foca monaca delle Hawaii (oggi la specie raggiunge il numero di circa 1000 esemplari, grazie ad uno straordinario progetto di conservazione).
Secondo le stime dello IUCN (The World Consevation Union) della foca monaca mediterranea sopravvivono dai tre ai quattrocento animali: 150-200 individui nell’Egeo e Mediterraneo sudorientale; 20-30 nel Mar Ionio; 10-20 in Adriatico; una decina nel Mediterraneo centrale; dai 10 ai 20 nel Mediterraneo occidentale; una decina nel Mar Nero e 130 in Atlantico. Sono numeri talmente bassi che è bastata un’intossicazione da plancton per decimare la popolazione della Mauritania, scoperta appena pochi anni fa e sopravvissuta grazie ai conflitti armati locali che hanno isolato queste terre.
La creazione di nuove aree protette dove è stata riscontrata la presenza di Foche monache sta dando ottimi risultati. Il Gruppo Foca Monaca del WWF, nato nel 1976 per accrescere le poche conoscenze su questa specie rarissima e misteriosa, ha avviato un rapporto di collaborazione con l’Icram (Istituto centrale per la ricerca scientifica applicata al mare) per la raccolta e gestione dei dati relativi a segnalazioni e avvistamenti.
Senza dubbio in passato la foca monaca era presente in modo consistente in numerose località costiere sia dell’Italia continentale sia insulare, sebbene non vi siano dati scientifici antichi o recenti sulla consistenza numerica della specie. In Sicilia la foca monaca era nota lungo le coste meridionali e occidentali, e in particolare in prossimità di Acireale e Palermo, come anche nelle isole di Pantelleria, Lampedusa e Linosa, tanto che i nomi di molte località costiere alludono alla specie (grotta del Bue marino, scogli del Bue marino, spiagge di Vacche marine) e come dimostrano i documenti storici che descrivono la fauna di queste isole.
Le ultime segnalazioni nel Mediterraneo sembrano comunque mostrare segni di ripresa per la specie nel nostro mare, anche se sono ancora insufficienti studi e programmi di conservazione. Negli ultimi tempi le segnalazioni in Italia riguardano la Puglia (Salento), la Calabria (Capo Rizzuto), la Sardegna (Capo Carbonara e penisola del Sinis) e l’arcipelago toscano. Per questo è importante, con l’inizio della stagione turistica, un comportamento rispettoso nelle aree costiere dove la foca monaca è stata avvistata: non creare disturbo nelle grotte, dove questi animali trovano riparo e si riproducono, soprattutto in caso di avvistamenti.
Gli esperti del Gruppo Foca Monaca stanno sperimentando l’impiego di moderne tecnologie (telecamere ad infrarossi, radio-sensori per registrare la presenza degli animali nelle grotte) per un controllo più efficace dei siti frequentati dalle foche e per una più accurata analisi del comportamento riproduttivo di questi animali, riducendo il disturbo costituito dagli abituali controlli effettuati con le visite degli studiosi alle grotte. Da anni gli esperti del gruppo sono in contatto con i ricercatori greci e turchi per programmi comuni di studio, ricerca e monitoraggio nelle aree costiere frequentate dalla foca monaca

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